GDL 5/37: DISDETTA INTIMATA DA UN SOLO CONIUGE: POSSIBILITÀ DI RATIFICA A POSTERIORI ?
Pretura della Giurisdizione di Locarno-Campagna in re C./G.-G. del 10 febbraio 1999

37. Art. 266m CO

DISDETTA INTIMATA DA UN SOLO CONIUGE: POSSIBILITÀ DI RATIFICA A POSTERIORI ?

Secondo l'art. 266m CO, se l'appartamento è adibito ad abitazione familiare, un coniuge può disdire il contratto soltanto con il consenso espresso dell'altro coniuge.
Il consenso può essere dato anche posteriormente, ma al più tardi entro la scadenza del termine. Se il consenso non giunge entro tale data, la disdetta risulta insanabilmente nulla e la nullità può essere invocata in ogni tempo.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza, se la ratifica giunge dopo la scadenza del termine legale di preavviso, la disdetta va ritenuta valida per la prossima scadenza contrattuale.
Non incorre nel manifesto abuso di diritto il locatore che si prevale del vizio di forma dopo cinque giorni dalla ricezione della disdetta.

Pretura della Giurisdizione di Locarno-Campagna in re C./G.-G. del 10 febbraio 1999

Estratto dai considerandi:

 

In fatto:

A. Tra le parti è stato sottoscritto in data 14 dicembre 1993 un contratto di locazione avente per oggetto l'appartamento di quattro locali al 2° piano dello stabile denominato, in via S. a Tenero.

La locazione ha avuto inizio il 1. gennaio 1994. La scadenza del contratto era prevista la prima volta per il 31 dicembre 1998, riservato comunque il tacito rinnovo per un ulteriore periodo di un anno nel caso in cui una delle parti non avesse inoltrato disdetta con preavviso di tre mesi per la scadenza 31 dicembre.

B. In data 24 settembre 1998 il signor G. con lettera raccomandata all'Agenzia Immobiliare A., ha inoltrato la disdetta del contratto di locazione con effetto al 31 dicembre 1998. La disdetta era sottoscritta solamente dal signor G..

Con scritto 30 settembre 1998 la parte istante ha comunicato ai convenuti che la disdetta 24 settembre non poteva considerarsi valida, in quanto non firmata da entrambi i coniugi.

Il 3 ottobre 1998 la signora G. ha confermato alla A. SA il proprio consenso alla disdetta.

C. Con atto del 20 ottobre 1998 all'Ufficio di conciliazione in materia di locazione di Minusio, l'istante ha postulato la nullità della disdetta.

Con decisione del 10 novembre 1998, l'Ufficio di conciliazione ha respinto l'istanza per abuso di diritto.

D. All'udienza del 21 gennaio u.s. l'istante ha comunicato che i convenuti continuano ad occupare l'ente locato, pagando regolarmente il relativo canone, senza aver mai più comunicato la loro intenzione di lasciare l'appartamento, tantomeno indicando un'eventuale data per la riconsegna.

Estratto dai considerandi:

1. Giusta l'art. 266m CO se la cosa locata è adibita ad abitazione familiare, un coniuge può disdire il contratto soltanto con il consenso espresso dell'altro coniuge.

La ratio legis della norma è la protezione di un coniuge contro l'agire dell'altro in materia di abitazione coniugale.

Senza la protezione accordata dalla legge, un coniuge potrebbe infatti trovarsi a sua completa insaputa senza abitazione a seguito di una decisione presa e comunicata unilateralmente al locatore dall'altro coniuge.

Nella fattispecie, il consenso da parte della signora G. è stato dato soltanto in un secondo tempo, in data 3 ottobre 1998, cioè dopo che il termine legale di preavviso del 30 settembre 1998 era scaduto.

La legge non si pronuncia sulla necessità della concomitanza del consenso del coniuge in relazione all'art. 266m CO. Secondo l'attuale dottrina dominante, un tale consenso può essere dato successivamente, ma al più tardi entro la scadenza del termine legale di preavviso.

Se il consenso non giunge entro tale data, la disdetta è viziata di nullità assoluta, insanabile ed opponibile ai terzi, giusta l'art. 266o CO (Higi, Zürcher Kommentar, ad art. 266o, nr. 6).

Una ratifica tardiva della disdetta da parte dell'altro coniuge non potrà dunque avere per effetto di sanarne il vizio di forma. La disdetta viziata potrà però essere sostituita da una nuova disdetta formalmente valida.

Secondo la dottrina, giungendo questa ratifica dopo la scadenza del termine legale di preavviso, la disdetta sarà comunque ritenuta valida per la successiva scadenza, giusta l'art. 266a cpv. 2 CO (Higi, Zürcher Kommentar, ad art. 266m-266n, nr. 23; Svit-Kommentar, ad art. 266I-266o, nr. 17; Zihlmann, Basler Kommentar, ad art. 266m, nr. 5; Lachat/Stoll, Das neue Mietrecht für die Praxis, 1991, p. 296): in questo quindi per il 31.12.1999.

2. Occorre ora esaminare se, come concluso dall'Ufficio di conciliazione, l'invocazione della nullità della disdetta per vizio di forma da parte dell'istante configuri, nel caso concreto, abuso di diritto nel senso dell'art. 2 CC.

Abuso di diritto significa affermazione di un diritto in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico.

Anche con riguardo all'evidente difficoltà di definire in modo chiaro i limiti di un simile concetto, il legislatore ha precisato che solo il manifesto abuso del proprio diritto non trova protezione (art. 2 cpv. 2 CC), vale a dire solo ad un comportamento assolutamente inaccettabile può essere negata tutela giuridica.

In ossequio all'autonomia privata e in particolar modo alla sicurezza del diritto, la giurisprudenza tende perciò a far uso della massima prudenza, manifestando, nel dubbio, la chiara tendenza a non riconoscere l'abuso di diritto (DTF 77 II 167, 69 II 105 s; Mayer-Maly, Basler Kommentar, art. 2 n. CC, 36 s; Merz, Berner Kommentar, art. 2 CC, n. 40; così, Charmont, cit. in ibidem: "Si nous qualifions d'abusif tout usage d'un droit qui nous choque ou qui nous déplaît, le droit lui-même ne présentare plus aucune sécurité").

Non pare del resto ammissibile sacrificare il principio della libertà contrattuale a favore di soluzioni più eque o socialmente ed eticamente più auspicabile (DTF 111 II 243 s).

L'art. 2 CC non si riferisce soltanto all'esercizio di un diritto soggettivo da parte del titolare, come sembrerebbe intendere il tenore del disposto (così invece: DTF 61 II 151), bensì anche all'applicazione del diritto oggettivo da parte del Giudice; in altre parole: l'art. 2 CC non solo limita l'esercizio di un diritto, ma ne definisce nel contempo il contenuto. In questo senso buona fede e manifesta abuso di diritto rappresentano il filo conduttore dell'interpretazione teleologica (ratio legis) (Merz, ibidem, n. 28 e 420).

Come accade per concetti giuridici indeterminati, il cui contenuto si concretizza perlopiù sulla base di giudizi di valore, al fine di meglio definire il campo di applicazione dell'abuso di diritto, la giurisprudenza ha sviluppato una casistica (Merz, ibidem, n. 340 ss).

Costituisce abuso di diritto segnatamente l'atteggiamento contraddittorio ("venire contra factum proprium") di chi, prevalendosi di un diritto, tradisce un'aspettativa degna di protezione, che - benché in buona fede (Merz, ibidem, n. 410) - la sua precedente condotta ha alimentato, aspettativa che ha indotto la controparte a compiere degli atti, che si rivelano pregiudizievoli alla luce del mutato comportamento (DTF 121 III 353, 116 II 702, 115 II 338).

Nel caso in esame v'è quindi da chiedersi se il comportamento dell'istante possa in qualche modo aver indotto la controparte a ritenere che la disdetta 24 settembre 1998 fosse valida o che comunque il locatore non l'avrebbe contestata.

La A. SA ha comunicato ai signori G. di non accettare la disdetta, perché formalmente viziata, il 30 settembre 1998, ovvero cinque giorni dopo l'avvenuta notifica.

Un silenzio di appena cinque giorni, comprensivi oltretutto di un fine settimana, non costituisce senz'altro comportamento tale da legittimare la parte convenuta a confidare nella tacita accettazione della disdetta e neppure da indurre questo Giudice a dubitare della buona fede dell'istante.

Il fatto che la presa di posizione della A. SA in merito alla disdetta abbia coinciso con la scadenza del termine di preavviso non può da solo giustificare l'invocazione dell'abuso di diritto.

Spetta infatti al mittente della disdetta notificata in prossimità del termine sincerarsi che la stessa sia stata accettata, onde evitare che una risposta non sempre tempestiva gli pregiudichi la possibilità di sanare un eventuale vizio.

Nell'evenienza concreta non si realizza neppure la fattispecie dell'esercizio del diritto contrario allo scopo della norma ("qualifizierte Zweckwidrigkeit"). Nell'ambito della disdetta, così come accade per la prescrizione e per la perenzione, il termine costituisce infatti un limite rigido e formale, che non lascia spazio all'interpretazione (Merz, ibidem, n. 416).

Come opportunamente osservato dall'Ufficio di conciliazione, la nullità della disdetta 24 settembre 1998 garantisce alla A. SA il reddito relativo all'appartamento per un altro anno, fatto questo di non poca rilevanza tenuto conto dell'attuale situazione del mercato immobiliare. Proprio in considerazione di questo interesse non indifferente della parte istante, non si può nemmeno parlare di abuso di diritto nel senso di un esercizio inutile del medesimo ("unnütze Rechtsausübung", DTF 123 III 203).

Il fatto che l'affermazione di un diritto arrechi grave pregiudizio alla controparte non è da solo sufficiente a configurare abuso di diritto (ibidem).

Nel nostro caso la parte convenuta avrebbe del resto potuto avvalersi della facoltà, prevista dall'art. 264 CO, di liberarsi dai vincoli contrattuali, proponendo un conduttore subentrante idoneo.

In considerazione di quanto sopra si deve concludere che l'invocazione della disdetta 24 settembre 1998 per vizio di forma da parte dell'istante non costituisce manifesto abuso di diritto nel senso dell'art. 2 cpv. 2 CC.