GDL 2/32: Contestazione della disdetta
Pretura del Distretto di Lugano Sez. no. 4 in re A./S. dell' 11 agosto 1994.
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Contestazione della disdetta
Art. 271 C0
Una disdetta intimata dalla parte locatrice deve essere annullata se persegue lo scopo di limitare i diritti della parte conduttrice e se avviene durante una contestazione di natura locativa già in essere fra le parti.
Estratto dai considerandi:
1 In data 9 ottobre 1984 le parti hanno concluso un contratto di locazione, avente per oggetto dei locali siti nell' immobile di Via X. a Lugano di proprietà della convenuta, segnatamente la sala del teatro e la ex sala da giuoco al primo piano, da adibire a sala per proiezioni cinematografiche. Nel 1989 è stata creata una terza sala da proiezione denominata sala piccola, data anch' essa in locazione all' istante. Il contratto prevede una durata fino al 30 settembre 1995, rinnovabile tacitamente in assenza di disdetta, data con un anno di preavviso.
In data 2 aprile 1993 I' istante comunicava alla convenuta, con invio raccomandato, che il contratto di locazione con scadenza 30 settembre 1995 non sarebbe stato prorogato (doc. E). In seguito, e meglio il 18 maggio 1993 il contratto di locazione veniva disdetto dalla locatrice, su formulario ufficiale con effetto a decorrere dal 30 settembre 1995 con la motivazione che la locatrice " ritiene di dover rimanere libera nel scegliere eventualmente un nuovo partner contrattuale ed intende valutare la possibilità di indire eventualmente un concorso " (doc. F, doc. G).
2 Adito tempestivamente dall' inquilina, con istanza 28 maggio 1993, I' Ufficio di conciliazione di Lugano confermava la disdetta e concedeva nel contempo una protrazione della locazione limitatamente però ad un anno, segnatamente fino al 30 settembre 1996. Da qui la presente tempestiva istanza dell' inquilina, (sulle cui motivazioni si dirà, come pure per quelle della locatrice, nei considerandi seguenti), con la quale essa postula l' annullamento della disdetta 18 maggio 1993 e, in via subordinata la concessione di una proroga del contratto di locazione di 6 anni.
3 Per inciso, giova precisare che tra le parti è pendente una causa, con richiesta di provvedimenti cautelari, dinanzi alla Pretura di Lugano Sezione 1, avviata dalla locatrice e tendente ad ottenere il divieto all' inquilina di installare nei locali oggetto del contratto di locazione 9 ottobre 1984, delle macchinette di torrefazione e di vendita di pop-corn e di bibite. Per quanto attiene all' istanza di misure cautelari la stessa è stata respinta in sede di appello con decisione 24 luglio 1992, mentre il giudizio sul merito non è ancora stato emanato.
4 Preliminarmente, con riferimento all' impostazione data dall' istante alla procedura dinanzi al Pretore quale giudice di seconda istanza rispetto alla decisione dell' Ufficio di conciliazione (" pertanto la qui istante impugna la sentenza " cfr. istanza pag. 6, richiesta di annullamento della decisione dell' Ufficio), va precisato che il ricorso all' autorità giudiziaria a seguito di decisione dell' Ufficio di conciliazione non deve essere inteso quale procedura di appello, di verifica della pronuncia dell' Ufficio, ma invece quale azione giudiziaria a sé stante, indipendente da quanto si è sviluppato ‑ in funzione di discussione e di prove ‑ nella procedura avanti all' Ufficio. In effetti secondo il Messaggio del CF la decisione dell' autorità di conciliazione determina il ruolo processuale successivo del locatore e del conduttore e quindi rappresenta una decisione preliminare, o meglio ancora una proposta di decisione che può essere accettata, ed allora assume forza di cosa giudicata, oppure per non renderla tale impone alla parte che non vi consente l' avvio di una nuova procedura giudiziaria ( DTF 117 II 504, Il CCA 18 febbraio 1993 in re B.c.l.).
5 Nel merito, l' istante postula l' annullamento della disdetta del 18 maggio 1993 perché lesiva dell' art. 271a cpv.1 lett. a), lett. b) e lett. d) CO, segnatamente perché rappresenta un atto di ritorsione, compiuto in mala fede. Da parte sua la convenuta afferma che la disdetta di cui ci si occupa non è abusiva né tanto meno contraria alla buona fede.
6 L' art. 271 CO prevede che la disdetta può essere contestata se è contraria alle regole della buona fede. Questo principio generale ‑ che rappresenta un caso speciale d' applicazione dell' art. 2 CC ‑ vale per la disdetta in tanto in quanto data sia dal locatore come dal conduttore. L' art. 271a CO, per contro offre la possibilità di validamente contestare e rendere nulla la disdetta data dal locatore al verificarsi di determinate fattispecie: esse costituiscono casi di attuazione del principio contenuto nell' art. 271 CO (Comm. SVIT, 1991, art.271a, N. 2).L' elenco non è esaustivo (Barbey R., Protection contre le congés concernant les baux d' habitation et de locaux commerciaux, Ginevra 1991, art. 271 e 271a CO, N. 7). L' art. 271a cpv. 1 lett. b) CO prevede in particolare che la disdetta può essere contestata se per quel tramite il locatore intende imporre al conduttore una modifica del rapporto di locazione a lui sfavorevole o un adeguamento della pigione. Questa fattispecie, come altre dello stesso articolo, vuole punire il locatore a dipendenza del motivo della disdetta come elemento soggettivo (SVIT, op. cit., ibidem). Scopo della norma è quello di evitare che il conduttore sia posto nella situazione ultimativa di cedere alla richiesta di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali in suo sfavore, per non dover abbandonare i vani locati (SVIT, art. 271a, N. 12; Lachat Micheli, Le nouveau droit du bail, Losanna 1992, p. 325).La norma è analoga a quella già prevista all' art. 18 cpv. 3 DAL secondo il quale venivano considerate nulle le disdette date dal locatore in connessione con aumenti di pigioni (Barbey, L' arrêté fédéral instituant des mesures contre les abus dans le secteur locatif, Losanna 1984, pag. 131). In altre parole il conduttore deve poter contestare liberamente la pretesa del locatore, senza temere alcuna ritorsione dalla controparte (Lachat Micheli, op. cit., p. 325; Barbey, op. cit. art. 271 e 271a CO, N). (cfr. ll CCA 1° Febbraio 1994 in re M. c. P.).
7 È alla parte che si prevale di tale normativa, e pertanto in caso all' istante, che incombe l' onere della prova per quanto attiene alle circostanze che stanno alla base di una disdetta abusiva, compresa l' esistenza di un nesso causale tra la disdetta stessa e la presunta modifica unilaterale del contratto (art. 8 CC; Barbey, op. cit., N. 99 p. 143; SVIT, op. cit., N. 8, 14 e 43 ad art. 271a CO). Per principio, la prova circa l' esistenza del nesso causale verrà portata mediante indizi, non potendosi ragionevolmente pretenderne una prova più rigorosa (Barbey, op. cit., N.97 p. 142); il fatto che la pretesa formulata dalla parte sia o meno giustificata nel merito non risulta in quest' ottica determinante (Barbey, op. cit., N. 95 p. 142; Zihlmann, Das neue Mietrecht, Zurigo 1990, p. 193), come del resto non lo è il fatto se l' intenzione di modificare unilateralmente il contratto si appalesi prima o soltanto dopo la notifica della disdetta (SVIT, op. cit., N. 11 ad art.271a CO; Barbey, op. cit., N.95 p. 141; Lachat Micheli, op. cit., p. 326; cfr. ll CCA 17 giugno 1994 in re U. c. S).
8 Dagli atti di causa risulta, a prima vista, che i motivi alla base della disdetta del 18 maggio 1993 sono tutt' altro che chiari. In effetti con scritto del 24 maggio 1993 il patrocinatore della convenuta, dietro espressa richiesta dell' istante, comunicava che la disdetta era dettata dal fatto che la convenuta riteneva di dover rimanere libera nel scegliere eventualmente un nuovo partner contrattuale indicendo se del caso, un concorso (doc. G).
Dal verbale della seduta del C.d.A. della società convenuta del 31 marzo 1993 risulta che un membro dello stesso ha proposto precauzionalmente di annunciare la disdetta del contratto; proposta accettata, senza ulteriori commenti, dagli altri membri del consiglio (doc. H).
Dal verbale del C.d.A. del 1° settembre 1993 (doc. I), si evince che la disdetta è stata data per tempo per poter:
- limitare un' eventuale richiesta di proroga,
- liquidare la situazione del contenzioso in corso (bibite e pop‑corn),
- eventualmente scegliere un altro partner,
- fare gli interessi della società, nell' ambito del mandato affidatogli.
Infine il teste ha precisato all' udienza del 7 aprile 1994 dinanzi all' Ufficio di conciliazione che la disdetta era stata intimata all' inquilina perché la sala principale, data in locazione, doveva essere ristrutturata.
È quindi compito di questo giudice determinare quale era la volontà della locatrice alla base della disdetta che ci occupa, per poter determinare se la stessa è abusiva ai sensi della legge.
9 In concreto appare del tutto pacifico che la disdetta notificata alla conduttrice sia abusiva ai sensi dell' art. 271a cpv.1 lett. b). In effetti dal verbale del C.d.A. del 31 marzo 1993 si evince in modo palese che la volontà della locatrice non era tanto quella di significare la disdetta all' attuale conduttrice per poter effettivamente disporre a piacimento dei locali di sua proprietà, ma si tratta, come ha precisato lo stesso relatore in seno al C.d.A., avv. X., di una disdetta data a titolo " precauzionale ", con ben due anni di preavviso. Questa formulazione lascia intendere, quanto poi confermato dallo stesso relatore nell' ambito di un seguente C.d.A. della società proprietaria degli enti locati, che la disdetta era stata significata proprio per imporre delle modifiche unilaterali del contratto sfavorevoli alla conduttrice, segnatamente per imporre un aumento del canone di locazione.
Risulta in effetti dal verbale del C.d.A. del 1° settembre 1993 che il problema con il quale si vedeva confrontata la proprietaria era il seguente: " Non è possibile chiedere un aumento dell' affitto, sulla base di un precedente contratto. n qualsiasi rapporto di locazione, dopo 10 anni, i parametri cambiano (vedi ad es. l' atrio nuovo che sarà anche a loro disposizione). Si deve quindi avere la possibilità di poter esporre nuove condizioni che possono anche non essere accettate " (cfr. doc. H).
A mente della convenuta, in considerazione del fatto che la disdetta sarebbe stata nulla se essa avesse contattato la convenuta al fine di sottoporle nuove condizioni contrattuali a lei sfavorevoli, occorreva " attendere che la parte interessata venga a trattare e faccia delle proposte da esaminare, ma non compromettersi " (cfr. risposta avv. X. Verbale del 1° settembre 1993).
Questi elementi permettono di affermare che effettivamente l' intenzione della locatrice era quella di imporre, mediante una disdetta notificata con largo margine di tempo - proprio per poter portare a termine delle trattative intese alla modifica del contratto in essere tra le parti -, dei cambiamenti unilaterali sfavorevoli alla conduttrice e meglio, un adeguamento abusivo della pigione.
Il fatto poi che in realtà la convenuta non ha avuto modo di concretamente avanzare delle pretese nei confronti della locatrice non riveste alcuna importanza, in considerazione anche del fatto che è stata l' istante, che contestando la disdetta dinanzi all' Ufficio di conciliazione e adendo questa autorità, non ha permesso alla convenuta di mettere in atto le proprie intenzioni.
La deposizione del teste nulla muta al fine di determinare il vero motivo per il quale è stata significata la disdetta. In effetti, pur ammettendo che la sala necessitava di una ristrutturazione, il C.d.A. non ha a tutt' oggi preso la relativa decisione, di guisa che non si può ammettere che la disdetta sia stata notificata per poter eseguire dei lavori. Appare invero del tutto evidente che la convenuta, una volta appurato suo malgrado che l' istante non sarebbe stata disposta a scendere a compromessi, abbia deciso di ristrutturare la sala. Per quanto attiene alla tesi della convenuta secondo la quale la società non è vincolata dalle affermazioni fatte dai propri consiglieri d' amministrazione nell' ambito di un C.d.A., la stessa va rimandata al chiaro testo dell' art. 55 cpv. 1 e 2 CC secondo il quale gli organi della persona giuridica, in caso i membri del C.d.A., sono chiamati ad esprimerne la volontà, essi obbligano la persona giuridica così nella conclusione dei negozi giuridici, come per effetto di altri atti od omissioni. Pertanto, era intenzione della convenuta di imporre all' istante un aumento della pigione; aumento che può sicuramente essere definito abusivo ai sensi degli art. 269 e segg. CO, visto che se abusivo non lo fosse stato, la proprietaria avrebbe semplicemente potuto seguire la procedura prevista dalla legge all' art. 269d CO per gli aumenti del corrispettivo. Già per questo motivo, segnatamente violazione dell' art. 271a cpv. 1 lett. b), la disdetta del 18 maggio 1993 con effetto a decorrere dal 30 settembre 1995 deve essere dichiarata nulla.
10 A titolo abbondanziale si rileva che l' istruttoria di causa ha permesso di accertare che la disdetta del 18 marzo 1993 viola pure il disposto di cui all' art. 271a cpv. 1 lett. a) secondo il quale una disdetta data poiché il conduttore fa valere in buona fede pretese derivatigli dalla locazione, può essere contestata. Nel caso concreto si tratta del problema in relazione ai pop-corn, segnatamente la conduttrice ha avviato la torrefazione dei pop‑corn con relativa vendita nelle sale cinematografiche locate. Fatto questo che non ha riscontrato l' approvazione della locatrice, tant' è vero che è pendente dinanzi alla Sezione 1 di questa Pretura una causa avviata dalla locatrice tendente a vietare la vendita dei popcorn. Il dissenso della proprietaria lo si evince pure dal verbale del C.d.A. del 1° settembre 1993 dove si può leggere che la disdetta è stata data anche per: " liquidare la situazione del contenzioso in corso (bibite e pop‑corn) ". Per inciso si precisa che in caso è applicabile la lettera a) del precitato articolo proprio perché il conduttore iniziando la vendita dei pop‑corn e delle bibite ha fatto valere delle pretese, a suo modo di vedere, derivatigli dalla locazione, senza aver adito un' autorità giudiziaria; condizione quest' ultima essenziale per l' applicazione di tale articolo (Lachat Micheli, op. cit., p. 324).
Non spetta a questo giudice decidere se le pretese che il conduttore ha fatto valere siano nel merito da proteggere o al contrario da censurare; essenziale ai fini del presente giudizio è determinare se il conduttore le ha fatte valere in buona fede. A questo proposito basta citare la decisione emanata dal Tribunale di appello il 24 luglio 1994 con la quale l' autorità giudicante ha respinto l' istanza provvisionale 28 febbraio dove la proprietaria chiedeva per l' appunto il divieto di cui sopra, dalla quale si evince che la locatrice non ha fatto valere la sua pretesa in mala fede.
Per quanto attiene al nesso causale esistente tra la pretesa fatta valere e la disdetta, esso è stato pacificamente dimostrato dalla conduttrice con la produzione del verbale del C.d.A. del 1° settembre 1993 di cui sopra.