GDL 9/30:
In caso di mancata riconsegna del bene locato, il locatore deve procedere senza
ritardo nella domanda di sfratto a carico del conduttore
II Camera civile in re R. / T. dell'11 aprile 2003
30. Art. 274g CO
In caso di mancata riconsegna del bene locato, il locatore deve procedere senza ritardo nella domanda di sfratto a carico del conduttore
Una ragionevole attesa del locatore nel richiedere lo sfratto è di principio ammissibile, ma se la stessa si protrae oltre il lecito oppure se vi sono comportamenti nel locatore passibili di generare una situazione di insicurezza circa le sue reali intenzioni, si dovrà ritenere che egli abbia rinunciato agli effetti della propria disdetta.
Alla stessa conclusione occorre giungere nel caso che il locatore abbia consentito alla costituzione di un nuovo regime contrattuale, con la conseguenza che in tale ipotesi il diritto allo sfratto è perento malgrado la regolarità della precedente disdetta.
Oltre alla decorrenza del tempo trascorso dalla cessazione del rapporto contrattuale sino alla richiesta di sfratto, il Giudice può valutare altre circostanze e segnatamente il fatto che il conduttore abbia versato la pigione al locatore senza riserva alcuna da parte di quest'ultimo.
II Camera civile in re R. / T. dell'11 aprile 2003
Estratto dai considerandi
In fatto:
A. Il 15 luglio 1981 A.R., in veste di locatrice e C.T., quale conduttore, sottoscrivevano un contratto di locazione avente per oggetto un immobile denominato "Villa A." a L., con scadenza al 29 settembre 1986, salvo rinnovo per un ulteriore anno in caso di mancata disdetta di una delle parti, data con preavviso di sei mesi. La pigione annuale ammontava a fr. 18'500.--, pagabili in rate semestrali anticipate di fr. 9'250.-- oltre spese accessorie (doc. C). A seguito del trapasso della proprietà avvenuto l'11 aprile 1985 V.R. subentrava ad A.R. (doc. A) e al decesso del conduttore subentravano gli eredi G.T., G.T. e G.F.
Con modulo ufficiale, in data 25 marzo 1994, i membri della comunione ereditaria notificavano alla locatrice la disdetta per l'ente locato, con effetto al 29 marzo 1995 (doc. D).
B. Il 18 gennaio 1995, G.T., a nome e per conto della comunione ereditaria, chiedeva una proroga del contratto di locazione (doc. E): la locatrice accoglieva la richiesta concedendo un termine ultimo fino al 30 settembre 1995 (doc. F). In seguito, G.T. personalmente - e non più a nome della comunione ereditaria - formulava ulteriori richieste di proroga del contratto. Il 25 settembre 2000 e il 10 novembre 2000, G.T. chiedeva un'ultima proroga al più tardi fino al 29 settembre 2001 (doc. H, I). Anche questa proposta veniva integralmente accolta dalla locatrice, la quale per accettazione chiedeva copia dello scritto nel quale ella concedeva la proroga del termine (doc. L; copia che dalle risultanze non sembra però essere pervenuta alla locatrice).
C. Con modulo ufficiale, il 1°dicembre 2000 la locatrice notificava a G.T, G.T. e G.F.T. la disdetta della locazione per l'ente locato con effetto al 30 settembre 2001 (doc. M).
Con scritto 27 settembre 2001 G.T. chiedeva di nuovo una proroga del termine di riconsegna dell'ente locato per il mese di giugno 2003 (doc. O), "in considerazione dei nostri buoni rapporti famigliari e anche del fatto che da ben 65 anni (i miei genitori prima ed io poi) siamo inquilini della casa e sempre abbiamo regolarmente pagato gli affitti"; successivamente, il 1° ottobre 2001, egli effettuava il versamento delle pigioni relative ai mesi ottobre 2001-marzo 2002 (doc. 8).
Il 12 ottobre 2001 la locatrice informava gli eredi singolarmente di non essere più disposta a concedere proroghe, confermando la validità della disdetta 1° dicembre 2000 e assegnando un termine di 10 giorni per la riconsegna dell'immobile (doc. P).
D. Con istanza 3 gennaio 2002 V.R. postulava lo sfratto di G.F., G. e G.T., poiché l'ente locato non sarebbe stato riconsegnato entro il termine previsto dalla disdetta.
I convenuti si sono opposti all'istanza di sfratto, adducendo innanzitutto che G.F. e G.T. difetterebbero della legittimazione passiva in quanto essi non sarebbero parte nel rapporto di locazione relativo all'immobile denominato "Villa A.". In effetti, a far tempo dal 1994, solo G.T. avrebbe continuato in veste di conduttore la locazione dell'immobile provvedendo a proprio nome e per proprio conto al pagamento dei canoni di locazione. Non ci si troverebbe quindi di fronte ad una protrazione del contratto di locazione originario, bensì ad una riconduzione del contratto a cura del solo G.T. Inoltre, la disdetta sarebbe nulla perché questi, oltre ad occupare l'immobile con il proprio studio di architettura, vi abiterebbe in regime matrimoniale con la moglie M.T., alla quale però la disdetta non è stata notificata. Infine, a seguito del pagamento della pigione per il periodo da ottobre 2001 fino a marzo 2002 - versamento non contestato dalla locatrice - sarebbe sorta un'ulteriore riconduzione tacita della locazione. In ogni caso, l'istanza di sfratto sarebbe tardiva poiché inoltrata ad oltre tre mesi dalla presunta cessazione del rapporto locativo.
E. Con decisione 24 luglio 2002 il Pretore ha decretato lo sfratto dall'ente locato di G.T. entro 10 giorni dalla intimazione del decreto. Nei confronti di G.F.T. e di G.T. l'istanza veniva respinta per carenza di legittimazione passiva, poiché essi avevano manifestato il loro disinteresse per rapporto all'ente locato e a partire dal 27 marzo 1995 le pigioni erano versate unicamente da G.T., il quale era ritenuto dalla stessa istante l'unico interlocutore per le questioni riguardanti "Villa A.". Il Pretore stabiliva quindi che dopo il 1995 il contratto di locazione relativo al predetto immobile era sorto unicamente tra V.R. e G.T. In particolare, tra queste due parti sarebbe venuta in essere una riconduzione tacita del contratto a tempo indeterminato.
Il Pretore ha invece ritenuto che il versamento da parte del conduttore della pigione per il periodo ottobre 2001-marzo 2002 non avrebbe fatto scattare un'ulteriore relocatio tacita, poiché con lettera 12 ottobre 2001 la locatrice avrebbe manifestato chiaramente la propria volontà, segnatamente richiedendo la restituzione dei locali. Inoltre, il conduttore non avrebbe provato che "Villa A." rappresentasse, oltre al luogo di esplicazione della propria attività lavorativa, la sua abitazione coniugale, anche perché per stessa ammissione del convenuto, lui e la moglie consideravano quale loro abitazione un ulteriore appartamento in Via G. Di conseguenza, stante la validità della disdetta 1° dicembre 2000 - che esplicava i propri effetti dal 30 settembre 2001 - l'istanza di sfratto è stata accolta, limitatamente al solo G.T.
F. Con appello 2 agosto 2002, corredato di una richiesta di effetto sospensivo, il convenuto ha chiesto l'annullamento del decreto di sfratto, poiché innanzitutto l'ente locato rivestirebbe un ruolo famigliare e coniugale, oltre che lavorativo. La disdetta, non essendo stata inviata anche alla moglie dell'appellante, sarebbe quindi nulla.
Il Pretore, senza del resto fare capo al proprio potere inquisitorio e omettendo di promuovere accertamenti a tale riguardo, sarebbe erroneamente giunto alla conclusione che "Villa A." non rappresenterebbe l'abitazione coniugale dei coniugi G. e M. T poiché non sarebbe il luogo in cui l'appellante ha stabilito in modo durevole la propria vita coniugale, rispettivamente poiché gli stessi considerano di loro pertinenza un ulteriore appartamento sito in Via G. a L. Il fatto che l'ente locato rappresenterebbe una abitazione famigliare si rileverebbe anche dal grande interesse dell'appellante per "Villa A.".
Il primo giudice sarebbe altresì giunto ad una conclusione errata quando ha esposto che con raccomandata 12 ottobre 2001 la parte locatrice avrebbe espresso con sufficiente chiarezza la propria volontà di ottenere la riconsegna del bene locato, nonostante G.T. avesse versato il canone locativo per il periodo da ottobre 2001 a marzo 2002. A mente dell'appellante non avendo controparte contestato detto versamento, il contratto di locazione sarebbe stato tacitamente ricondotto, considerato anche che l'istanza di sfratto sarebbe stata inoltrata solo il 3 gennaio 2002.
La parte appellata non ha invece formulato osservazioni.
In diritto:
1. L'appellante sostiene innanzitutto che l'ente locato rivestirebbe un ruolo famigliare e coniugale, oltre che lavorativo e pertanto la disdetta avrebbe dovuto essere inviata anche alla moglie M.T. La disdetta 1° dicembre 2000 sarebbe nulla poiché la locatrice avrebbe omesso la notifica separata al coniuge, passo procedurale previsto obbligatoriamente dalla legge. Inoltre, il Pretore non avrebbe fatto capo al proprio potere inquisitorio e quindi non avrebbe promosso ulteriori accertamenti in merito al carattere abitativo di "Villa A.", respingendo la tesi formulata dalla parte convenuta.
In base ai combinati artt. 266n CO e 266o CO, se la cosa locata è adibita ad abitazione famigliare, la disdetta data dal locatore deve essere notificata separatamente al conduttore e al suo coniuge, pena la sua nullità (Weber/Zihlmann, Kommentar zum Schweizerischen Privatrecht, Obligationenrecht I, Basilea 1996, n. 1 e 6 artt. 266m-266n CO e n. 1 ad art. 266o CO; Higi, Zürcher Kommentar, Zurigo 1995, n. 30 ss. ad artt. 266m-266n CO; Lachat, Le bail à loyer, Losanna 1997, pag. 408 ss.).
L'abitazione famigliare è il luogo dove i coniugi in modo duraturo hanno stabilito la loro comunione coniugale e domestica, rispettivamente dove la famiglia ha formato il proprio centro della vita comune (Svit Kommentar, 2. ed., Zurigo 1998, n. 10 ad artt. 266l-266o CO; Higi, op. cit., n. 12 artt. 266m-266n CO; Weber/Zihlmann, op. cit., n. 1 e 2 artt. 266m-266n CO; Lachat, op. cit., pag. 82).
Nel caso in esame, il convenuto ha unicamente sostenuto che "Villa A.", oltre a contenere gli uffici del proprio studio di architettura, aveva anche carattere abitativo e famigliare. D'altro canto, il convenuto ha ammesso che i coniugi G. e M. T consideravano di loro pertinenza, oltre a "Villa A." anche un appartamento sito in Via G. a L. (v. allegato di risposta 6 febbraio 2002, ad 4, pag. 4).
Alla luce delle risultanze si rileva pertanto che il conduttore non è stato in grado di dimostrare ulteriormente le proprie allegazioni quo al carattere famigliare dell'ente locato e per questo motivo egli ha censurato il decreto di prima istanza adducendo che il Pretore non avrebbe fatto capo al proprio potere inquisitorio e non avrebbe promosso ulteriori accertamenti a tale proposito. A torto. Infatti, quando la disdetta è oggetto di contestazione ex art. 273 CO, il Giudice dello sfratto successivamente adito è preliminarmente chiamato a statuire sull validità della disdetta in virtù del principio di attrazione di competenza sancito dall'art. 274g CO. In tal caso, la vertenza è trattata secondo la procedura federale, retta dalla massima inquisitoria che impone al Giudice di accertare d'ufficio i fatti, di procedere alle indagini necessarie al fine di stabilire i fatti di causa decisivi e di apprezzare liberamente le prove. Al contrario, la procedura cantonale di sfratto, di natura sommaria, è retta dal principio dispositivo. Nel caso in cui, come in concreto, la disdetta è oggetto di contestazione solo in sede di sfratto, il Giudice deve esprimersi solo sui fatti allegati e sulle prove indicate dalle parti, non dovendo farsi invece carico dell'istruzione del processo (DTF 122 III 92; Cocchi, Autorità competenti, aspetti procedurali e sfratto, in: Diritto della locazione, giurisprudenza recente e tendenze dottrinali, tomo CFPG n. 23, Lugano 2000, pag. 98). Ne discende che l'appellante non è stato in grado di dimostrare il carattere famigliare dell'ente locato e pertanto la locatrice non era obbligata a notificare la disdetta separatamente ad entrambi i coniugi G. e M. T.. Di conseguenza, la succitata disdetta non può essere ritenuta nulla ai sensi dei combinati artt. 266m e art. 266 CO, bensì valida a tutti gli effetti.
2. L'appellante sostiene inoltre che il contratto relativo a "Villa A." sarebbe stato ricondotto tacitamente poiché il locatore avrebbe provveduto a versare anticipatamente con valuta 1° ottobre 2001 il canone di locazione per il semestre 1° ottobre 2001-31 marzo 2002 (doc. 8). Tale versamento non sarebbe mai stato contestato dalla locatrice e pertanto sarebbe venuta in essere una nuova riconduzione tacita del contratto di locazione, anche perché la procedura di sfratto sarebbe stata inoltrata solo il 3 gennaio 2002.
In effetti, la domanda di sfratto va introdotta dopo la scadenza del termine che ha posto fine alla locazione e non può essere procrastinata, nel tempo, a piacimento del locatore. A seconda delle circostanze, il fatto di tollerare la presenza del conduttore nel bene locato anche dopo la fine del contratto può far nascere, tacitamente e per atti concludenti, un nuovo contratto di locazione di durata indeterminata e di contenuto simile al precedente (Cocchi, op. cit., pag. 99; Cocchi/Trezzini, CPC-TI, m. 13 ad art. 506 CPC; Lachat, op. cit., pag. 118 s.; II CCA 9.3.1999, inc. n. 12.98.00261).
La giurisprudenza di questa Camera ha già avuto modo di stabilire che una ragionevole attesa del locatore nel richiedere lo sfratto è di principio ammissibile, ma che se essa si protrae oltre il lecito, oppure se vi sono comportamenti nel locatore passibili di ingenerare una situazione di insicurezza circa le sue reali intenzioni, si dovrà ritenere che egli abbia consentito a che si instauri un nuovo regime contrattuale, con la conseguenza della perenzione del diritto allo sfratto (II CCA 9.3.1999, inc. n. 12.98.00261 e II CCA 9.3.1998, inc. n. 12.97.001919.
Il Giudice deve valutare tutte le circostanze del caso concreto per stabilire se si ravvedono gli estremi dell'esistenza di una riconduzione tacita del contratto per atti concludenti.
Oltre al lasso di tempo trascorso dalla cessazione del rapporto contrattuale fino alla richiesta di sfratto, è necessario valutare altre circostanze, segnatamente il fatto che il conduttore abbia versato la pigione e che il locatore l'abbia accettata senza formulare riserve (Lachat, op. cit., pag. 118 s. e 399).
Nel caso concreto, con raccomandata 12 ottobre 2001 la parte locatrice ha bensì espresso la propria volontà di riottenere "entro 10 giorni" la riconsegna del bene locato, ma nonostante G.T. avesse già versato il canone locativo pari a fr. 16'974.-- con valuta 1° ottobre 2000 (semestre ottobre 2001-marzo 2002), nello stesso scritto essa non ha contestato questo versamento. Inoltre, dagli atti non emerge che successivamente la parte locatrice abbia espresso riserve di sorta in merito al pagamento della pigione (anche se l'importo di fr. 16'974.-- deve essere qualificato come rilevante, così come il periodo di sei mesi al quale esso si riallacciava).
Infine, almeno per quanto traspare dalle risultanze di causa, dopo lo scritto 12 ottobre 2001, la parte locatrice non ha più preso contatto con G.T. e solo il 3 gennaio 2002, vale a dire tre mesi più tardi, essa avviava la procedura di sfratto. A mente di questa Camera, il comportamento della locatrice è stato atto a ingenerare nel conduttore la convinzione che a seguito del pagamento anticipato della pigione per i successivi sei mesi il contratto di locazione veniva rinnovato tacitamente ancora una volta. A tale proposito si aggiunga che a far tempo dal 1995, circostanza del resto ammessa dalla stessa appellata, si era instaurato un certo automatismo sia nelle richieste di proroga del contratto da parte di G.T. (che avvenivano praticamente con scadenza annuale), sia nella loro accettazione da parte della locatrice.
Ne discende che in concreto è venuto in essere un nuovo contratto di locazione per atti concludenti a tempo indeterminato e pertanto l'istanza di sfratto non può essere protetta.