La disdetta notificata al conduttore di locali commerciali allo scopo di vendere il bene locato senza la pendenza di contratti di locazione è valida – Protrazione della durata massima prevista dalla legge – Nessun adeguamento della pigione per il periodo di protrazione
In linea di principio è facoltà di un proprietario vendere un bene locato, il mero raggiungimento di un fine economico non essendo illegittimo o abusivo. E’ pure sostenibile che un proprietario desideri vendere nelle migliori condizioni, e ciò in particolare se l’immobile adibito ad uso commerciale è situato in una zona di grande pregio. La disdetta notificata al conduttore alfine di poter vendere il bene locato senza alcun contratto di locazione pendente, non è contraria alla buona fede ed è pertanto perfettamente valida.
Soppesati i rispettivi interessi delle parti, in concreto si giustifica di concedere una protrazione della locazione nella misura massima consentita dalla legge, le disdette comportando innegabilmente effetti gravosi per il conduttore e la sua famiglia. La domanda di adeguamento della pigione formulata dalla parte locatrice non merita accoglimento, non essendo ravvisabile una nuova situazione.
Pretura del Distretto di Lugano, Sezione 4 in re G. / CE S. del 12 ottobre 2006
Estratto dai considerandi
1.a) G. conduce in locazione tre superfici commerciali di uno stabile, oltre ad un locale al terzo piano adibito a mensa rispettivamente a locale di servizio per il personale, in virtù di contratti venuti in essere in forma orale e per i quali corrisponde una pigione annua complessiva di fr. 81'000.-- per i tre negozi e di fr. 2'750.-- per il locale mensa.
1.b) Con moduli ufficiali 28 marzo 2003 la CE S. ha notificato a G. la disdetta dei quattro contratti di locazione con effetto a decorrere dal 30 settembre 2003 (doc. D, E, F, G, Inc. LA.03.161). Su esplicita richiesta del conduttore (doc. H, Inc. LA.03.161), la parte locatrice a sostegno delle citate disdette ha addotto l’intenzione di procedere allo scioglimento della comproprietà a seguito del decesso di M.S. (doc. I, Inc. LA.03.161).
1.c) Il 24 aprile 2003 la parte conduttrice ha adito il competente Ufficio di conciliazione (in seguito: UC) postulando l’annullamento delle quattro disdette. In via subordinata ha postulato la protrazione della locazione per un periodo di sei anni, ossia fino al 30 settembre 2009 (doc. 7 - UC).
Con decisione 25 novembre 2003 la predetta autorità ha accertato la validità delle disdette 28 marzo 2003 con effetto a decorrere dal 30 settembre 2003. Ha quindi accordato all’inquilino una prima protrazione della locazione di due anni, mentre ha respinto la richiesta di adeguamento della pigione formulata dalla parte locatrice (doc. 1 - UC).
2.a) Con istanza 23 dicembre 2003 il conduttore ha postulato in via principale l’annullamento delle quattro disdette del 28 marzo 2003 ed in via subordinata la protrazione della locazione per la durata di sei anni, e meglio sino al 30 settembre 2009.
A suo dire le disdette in questione sarebbero contrarie al principio della buona fede, da un lato poiché coercitive essendo destinate ad esercitare pressioni per indurre il conduttore all’acquisto dell’immobile locato, dall’altro punitive per non aver acquistato personalmente lo stabile. L’inquilino, pur riconoscendo la legittimità dei propositi dei proprietari di scioglimento della CE e quindi di vendita, ritiene che vi si possa certamente procedere senza la necessità di disdire i contratti di locazione e di liberare i locali, trattandosi in concreto di un edificio commerciale locativo e non di uno stabile adibito ad abitazione primaria. Nella specie sarebbero inoltre stati i proprietari stessi a sollecitare il conduttore affinché acquistasse lo stabile ad un prezzo iperbolico assegnandogli un termine di 15 giorni per esprimersi per poi punire il suo silenzio notificando le disdette. Sarebbero di poi sempre stati i locatori, con l’intervento del primo legale a sua volta affiancato dall’imprenditore immobiliare H., ad esercitare pressioni perché cambiasse idea e si decidesse per l’acquisto. Ciò che denoterebbe l’intento di forzare l’inquilino all’acquisto dello stabile.
In via subordinata il conduttore ha postulato una protrazione della locazione della durata massima di 6 anni adducendo essenzialmente la lunga permanenza nei locali, lo stretto legame – anche di natura economica essendo tutte le componenti produttive dell’azienda ubicate nel raggio di pochi metri – con il luogo di situazione dell’ente locato e l’estrema difficoltà nel reperire una soluzione alternativa proprio in ragione della peculiarità dei negozi in questione. Non da ultimo andrebbero altresì considerati l’impatto economico delle disdette sull’attività del conduttore e l’età del medesimo che vorrebbe pianificare il suo ritiro e l’avvicendamento dei suoi figli. Dal canto loro i locatori non avrebbero alcun interesse ad ottenere la liberazione dei locali, ritenuto che lo scioglimento della CE e la vendita dello stabile potrebbero avvenire anche in presenza dell’inquilino.
2.b) Con istanza 24 dicembre 2003 la parte locatrice ha dal canto suo postulato l’accertamento della validità delle disdette e la reiezione della domanda di protrazione della locazione.
A seguito del decesso di G.S. e di suo figlio M.S. la sua CE avrebbe dovuto confrontarsi con la destinazione dello stabile in questione – peraltro bisognoso di interventi di ristrutturazione – ed avrebbe quindi deciso di procedere alla vendita dello stesso, ragione per cui tutti i contratti di locazione in essere sarebbero stati disdetti. La proprietà in oggetto per poter essere venduta non dovrebbe infatti presentare rapporti di locazione pendenti, ritenuto in ogni modo che i necessari lavori di ristrutturazione escluderebbero la presenza in loco degli inquilini. A mente della locatrice di poi il conduttore sarebbe intenzionato a prorogare un rapporto di locazione caratterizzato da una pigione favorevole, mentre gli accordi a suo tempo intercorsi tra le parti deporrebbero per un carattere transitorio del rapporto locativo. Non sussistendo in concreto alcun contratto scritto, l’inquilino non potrebbe pretendere di rimanere nell’ente locato oltre le scadenze legali previste per i rapporti di locazione verbali. Nella misura in cui il conduttore escluderebbe il trasferimento dei tre negozi altrove, andrebbe negata una qualsiasi protrazione della locazione, essendo la stessa finalizzata unicamente alla ricerca di una sistemazione alternativa. Oltre a ciò i tre negozi in questione sarebbero unicamente un complemento alla macelleria, per cui la loro eliminazione non comprometterebbe in alcun modo l’attività principale. Egli inoltre disporrebbe delle vicine superfici commerciali da lui gestite alle quali potrebbe far capo. Per concludere l’età del conduttore non sarebbe rilevante non essendo mai stata stipulata una garanzia di durata, i contratti in esame potendo essere disdetti per le scadenze legali. In via subordinata, nella denegata ipotesi in cui venisse concessa una protrazione, la locatrice ha postulato l’adeguamento della pigione per la durata della stessa, e meglio la fissazione di un corrispettivo di complessivi fr. 141'000.-- annui per i tre negozi – pari a fr. 2'500.--/mq come richiesto nella zona – e di fr. 12'600.-- per il locale adibito a mensa, la pigione attuale non garantendo un reddito compensativo sufficiente per le superfici commerciali godute.
2.c) In sede di discussione la parte locatrice si è sostanzialmente riconfermata nelle proprie allegazioni contestando quelle avversarie. Il conduttore ha da parte sua chiesto l’integrale reiezione dell’istanza della controparte rilevando in particolare che lo stabile commerciale in questione potrebbe essere venduto malgrado la presenza degli inquilini, tant’è che finanche il presunto acquirente gli avrebbe sottoposto un contratto di locazione. L’esistenza di un contratto in forma scritta non sarebbe determinante, trattandosi nella specie di un rapporto di locazione di oltre 30 anni. Un adeguamento della pigione non potrebbe inoltre entrare in linea di conto, non essendo intervenuta alcuna modifica dei parametri a far tempo dall’ultima determinazione del canone.
Con la replica, la duplica e le conclusioni, le parti si sono di poi riconfermate nelle rispettive ed antitetiche allegazioni e domande con argomentazioni che, per quanto qui di rilievo, verranno riprese nei considerandi che seguono.
3.a) Giusta l’art. 271 cpv. 1 CO la disdetta può essere contestata se contraria alle regole della buona fede. Tale principio costituisce un caso di applicazione della norma di cui all’art. 2 cpv. 2 CC, nonché la regola generale in materia di annullamento delle disdette. Tale disposto può infatti trovare applicazione, secondo le circostanze, unicamente nei casi in cui le condizioni di cui all’art. 271a CO non sono adempiute. In particolare le disdette che non si basano su alcun interesse degno di protezione, manifestano un comportamento scorretto e contraddittorio del locatore, risultano da una manifesta sproporzione fra gli interessi in gioco o i cui motivi costituiscono meri pretesti, ricadono nell’ambito applicativo della norma in parola (Lachat, Le bail à loyer, pag. 470 e segg.; Higi, Zürcher Kommentar, ad art. 271 CO, N. 22 e segg.). Nel contesto di tale norma il Tribunale federale ha segnatamente già avuto modo di stabilire che una disdetta notificata dal locatore allo scopo di vendere uno stabile, ritenendo che vi si possa procedere nelle migliori condizioni nel caso in cui lo stesso sia libero da inquilini, non è contraria alle regole della buona fede (DTF 4C.267/2002). Principio che è poi stato ribadito anche dalla Camera d’appello in materia di locazione del Canton Ginevra (CdB 2/05, pag. 44 segg.).
3.b) Secondo l’art. 271a cpv. 1 lett. c CO la disdetta può essere contestata se data dal locatore esclusivamente per indurre il conduttore ad acquistare l’abitazione locata. La norma tende a sanzionare le disdette legate alla vendita, in particolare la pratica di taluni locatori che mettono il conduttore, espressamente o implicitamente, davanti all’alternativa di acquistare l’abitazione o di liberarla. Se il testo di legge in italiano fa riferimento genericamente ad “abitazione locata”, sia il testo tedesco che quello francese sono più precisi nell’indicare che la norma in questione si applica unicamente nel caso in cui l’oggetto è un appartamento locato (“der gemieteten Wohnung / appartement loué”). Ciò esclude pertanto a priori l’applicabilità della norma in questione nel contesto delle locazioni commerciali, ritenuto che ai fini della qualifica del contratto determinante è l’uso concordato dalle parti (Lachat, op. cit., pag. 477 segg.; Higi, Zürcher Kommentar, ad art. 271a CO N. 96 segg.). In concreto il legislatore ha infatti voluto proteggere una precisa categoria con una norma esplicita e differenziata (Higi, Zürcher Kommentar, ad art. 271a CO N. 104).
4. Ciò posto occorre in primis verificare se siano adempiuti i presupposti di cui all’art. 271a cpv. 1 lett. c CO. Nella specie G. conduce in locazione tre negozi al piano terreno, nonché un locale al terzo piano adibito a mensa rispettivamente a locale di servizio per i dipendenti della sua ditta nello stabile. Pacifica è pertanto la destinazione commerciale degli spazi locati, l’inquilino esercitandovi la propria attività di commerciante. Avuto riguardo ai principi suesposti, non è necessario disquisire a lungo per affermare che in concreto la predetta norma non risulta applicabile.
5.a) Stante quanto precede occorre ora verificare se siano adempiuti i presupposti del principio generale regolato all’art. 271 cpv. 1 CO, segnatamente se le disdette in esame debbano essere annullate poiché contrarie alle regole della buona fede.
5.b) Nella specie si ha che con scritto 11 aprile 2003 l’allora rappresentante della parte locatrice motivava l’invio delle disdette del 28 marzo 2003 adducendo essenzialmente l’intenzione dei proprietari di procedere alla vendita dello stabile. Ciò in particolare a seguito del decesso di M.S., non avendo i di lui eredi, nonché gli altri membri della CE fu G.S., alcun interesse nel mantenimento di tale stabile (doc. I, Inc. LA.03.161).
A tale riguardo va in primis rilevato che l’istruttoria ha effettivamente dimostrato che l’intenzione di alienare l’immobile perdurava già da qualche anno e che la stessa è vieppiù maturata proprio a seguito del decesso di M.S.. A tale proposito l’avvocato in occasione della sua audizione testimoniale ha dichiarato quanto segue “…omissis… Conosco la famiglia S. da almeno 20 anni. La famiglia era cliente di mio padre. Conosco anche lo stabile. Nel corso del 2003 il signor M.S. mi ha incaricato di verificare una bozza di atto notarile preparato dall’avvocato relativo alla vendita dell’immobile. Posso confermare che la famiglia S. ha deciso di vendere tale immobile già diversi anni fa. Per quanto di mia conoscenza inoltre la vedova del defunto M.S. ha qualche difficoltà economica. …omissis…”. Il titolare di un’agenzia immobiliare del Luganese ha del resto confermato di aver ricevuto l’incarico di vendere l’immobile della CE già prima del decesso di M.S.. Egli ha infatti dichiarato: “Questa corrispondenza rientra nell’incarico che ho ricevuto dalla CE di vendere l’immobile. Io ho sempre avuto contatti con il defunto signor M.S., il quale gestiva il negozio di scarpe. Il signor M.S. voleva realizzare l’immobile in quanto non c’era più alcun successore disposto a continuare nella gestione del negozio di scarpe. Dopo il decesso del signor M.S. ho continuato le discussioni relative alla vendita dell’immobile con il fratello.” E’ inoltre altresì emerso che lo stabile in questione era già stato offerto per l’acquisto a più riprese al medesimo G., segnatamente nel 1994, nel 1999 e nel 2002 come confermato dal fiscalista della ditta G., il quale in questa sede così si è espresso: “…omissis… Si tratta di una mia valutazione relativa allo stabile, nonché di mie considerazioni sulle valutazioni fatte da altri sempre in relazione a detto stabile. Sono valutazioni e considerazioni che ho fatto su richiesta del signor G. nei periodi indicati nel documento stesso e meglio nel 1994, nel 1999 e nel 2002. …omissis… Negli anni 90 i proprietari avevano fissato un prezzo di acquisto di fr. 11 milioni, invece nel 2002 era nell’ordine degli 8 milioni. …omissis… Nella primavera del 2002, il signor G. mi aveva chiesto di prendere contatto con il signor S. per esaminare la possibilità di acquistare l’immobile e per discutere del prezzo. Avevo parlato personalmente con il signor S. il quale mi aveva detto che la CE aveva fretta di vendere lo stabile. …omissis… Posso confermare che il signor S. mi aveva assicurato che dava la priorità di acquisto dell’immobile al signor G. …omissis…”.
Alla luce delle risultanze istruttorie si deve quindi concludere che l’intenzione di vendere lo stabile fosse proprio il motivo alla base dell’invio delle disdette in esame. Non si può inoltre di certo ritenere che ciò costituisca un mero pretesto o che una disdetta basata su un tale motivo non sia legittima. La giurisprudenza ha infatti già confermato che in linea di principio è facoltà di un proprietario vendere un bene locato, non avendo di per sé il raggiungimento di un fine economico nulla di illegittimo o di abusivo. Se da un lato nel caso della vendita di un immobile occupato da inquilini torna applicabile l’art. 261 CO, secondo cui la locazione passa all’acquirente con la proprietà della cosa, dall’altro è sostenibile che un locatore voglia disdire i contratti di locazione in essere alfine di poter vendere nelle migliori condizioni il bene locato. Trattandosi nella specie di un immobile situato in una zona notoriamente di grande pregio, e meglio in una delle vie del centro cittadino maggiormente frequentate, è concepibile che un potenziale acquirente possa esigere l’acquisto dello stabile vuoto, in modo da poterne disporre subito senza dover contare su possibili richieste di protrazione. Il potenziale acquirente potrebbe infatti rinunciare a concludere l’affare oppure potrebbe offrire un prezzo inferiore rispetto a quanto chiesto dal venditore proprio a ragione della presenza di inquilini. In concreto il teste R.M. ha infatti riferito di aver trovato un acquirente nella persona del signor H. disposto ad acquistare l’immobile unicamente se libero da inquilini (cfr. verbale audizione testimoniale R.M. del 14 ottobre 2004). Ed è proprio alfine di evitare questi inconvenienti che la locatrice ha notificato, in data 28 marzo 2003, la disdetta dei contratti di locazione a G. e a P.P., con la quale è di poi stata concordata la scadenza definitiva dei contratti in essere per il 30 giugno 2004. Tutto ciò considerato, non è pertanto possibile ritenere che le disdette inviate a G. siano contrarie al principio della buona fede, ritenuto peraltro che all’inquilino era ben nota l’intenzione della parte locatrice. Per il resto nulla muta al riguardo la comparsa del signor H. quale possibile acquirente del bene locato, quest’ultimo essendo in ogni modo intervenuto dopo l’invio delle disdette stesse (doc. M, Inc. LA.03.161). L’istruttoria ha inoltre confermato che lo stesso in un primo tempo era effettivamente interessato all’acquisto dello stabile e che i proprietari avevano sottoposto la bozza di contratto di compravendita al loro legale di fiducia. Nemmeno rileva il fatto che G. abbia rifiutato l’acquisto della proprietà S., essendo egli a conoscenza delle intenzione dei proprietari, segnatamente che in caso di suo rifiuto avrebbero offerto lo stabile per l’acquisto a terzi. Da ultimo si deve ritenere che le disdette in questione sono state correttamente notificate con un preavviso di 6 mesi per la scadenza determinata dall’uso locale, e meglio con effetto a decorrere dal 30 settembre 2003, e ciò in ossequio ai dettami di cui all’art. 266d CO. Anche sotto questo profilo la disdetta risulta quindi perfettamente valida.
6.a) Accertata la validità delle disdette occorre ora verificare se sono adempiuti i presupposti per accordare una protrazione della locazione.
L’istituto della protrazione ha per scopo di concedere al conduttore la possibilità pratica di rimediare a determinati effetti gravosi, ossia a circostanze che si manifestano in modo negativo su di lui a fronte dell’esigenza di trovare, prima della fine del contratto o nel termine di preavviso, una soluzione alternativa alla locazione che sta per concludersi (Higi, op. cit., ad art. 272 CO, N. 83; II CCA 29 ottobre 1999 in re P./T.). Le conseguenze negative usuali connesse ad ogni trasloco che la protrazione ritarda semplicemente nel tempo senza tuttavia sopprimere, non sono da considerare effetti gravosi ai sensi di tale norma: lo sono piuttosto quelle circostanze che rendono impossibile o perlomeno difficile per il conduttore o la sua famiglia la ricerca di un oggetto sostitutivo confacente entro il periodo di tempo disponibile fino alla scadenza della locazione, ritenuto che il conduttore immediatamente dopo la ricezione della disdetta deve intraprendere tutto quanto è in suo potere per ridurre tali effetti (Svit, Kommentar, ad art. 272 CO, N. 8 e segg.). Il Giudice pondera gli interessi delle parti tenendo conto, in particolare, della loro situazione personale, familiare ed economica e dell’eventuale fabbisogno proprio del locatore (art. 272 cpv. 2 CO). Gli sforzi profusi dal conduttore per procurarsi un alloggio sostitutivo costituiscono un indizio nel giudizio per la concessione o meno della protrazione. Una prima protrazione non può essere comunque esclusa a priori a motivo della carenza degli sforzi profusi nella ricerca dell’alloggio sostitutivo (Lachat, op. cit., pag. 497 segg.).
6.b) Nella valutazione della situazione personale, famigliare e finanziaria delle parti (art. 272 cpv. 2 lett. c), gli interessi prettamente economici del locatore non possono in alcun modo prevalere sull’interesse del conduttore alla concessione di una proroga. Parimenti, gli interessi del locatore che ha commesso l’errore di rilocare i locali a terze persone prima dello spirare del termine entro il quale il conduttore avrebbe potuto richiedere la protrazione non sono preponderanti (Lachat, op. cit., pag. 500 segg.). Il fabbisogno del locatore (art. 272 cpv. 2 lett. d CO), anche se urgente, non impone necessariamente l’esclusione di una proroga della locazione. Secondo le circostanze e se l’equità lo esige, il Giudice può accordare una protrazione del contratto anche se il locatore dimostra di aver bisogno dei locali per sé o per i suoi parenti stretti. Tale fabbisogno deve essere motivato, concreto e attuale: segnatamente non deve essere un pretesto alfine di liberarsi del conduttore, deve basarsi su dei fatti e non deve essere futuro ed ipotetico. Il fabbisogno del locatore è urgente laddove, avuto riguardo all’insieme delle circostanze, non si può ragionevolmente imporre al locatore di attendere troppo a lungo per riottenere i locali (Lachat, op. cit., pag. 502 segg.; Higi, op. cit., ad art. 272 CO, N. 189 segg.).
7.a) Nella fattispecie è stata accertata l’intenzione della parte locatrice di poter disporre dell’ente locato libero da inquilini alfine di procedere alla vendita dello stesso. Se da un lato l’interesse prettamente economico dei locatori – peraltro del tutto legittimo – non può configurare un motivo per cui la disdetta sarebbe contraria alle regole della buona fede, dall’altro non può essere qualificato quale fabbisogno concreto ed attuale tale da escludere ogni e qualsiasi protrazione della locazione. All’atto della notifica delle disdette, la parte locatrice era a conoscenza della possibilità degli inquilini di postulare una protrazione dei contratti di locazione. Da rilevare inoltre che la presenza dell’inquilino G. ancora non impedisce la vendita dello stabile, ritenuto che in applicazione dell’art. 261 CO la locazione passa all’acquirente con la proprietà della cosa. Per quanto attiene da ultimo agli asseriti urgenti lavori di risanamento che si imporrebbero, è appena il caso di rilevare che l’istruttoria nulla ha dimostrato in tal senso. In particolare la parte locatrice non ha dimostrato la necessità di procedere a determinati lavori di manutenzione senza la presenza dell’inquilino e nemmeno la loro impellenza. In sede di sopralluogo è stato unicamente possibile constatare la vetustà dell’immobile (cfr. verbale di sopralluogo del 13 dicembre 2004) verosimilmente dovuta alla carenza di interventi conservativi, ciò che non implica tuttavia che lo stesso non possa essere utilizzato allo scopo per cui è stato adibito. Tale asserzione è pertanto rimasta allo stadio di puro parlato, non avendo trovato alcun riscontro probatorio.
7.b) Quanto agli interessi del conduttore, l’istruttoria ha evidenziato che G. gestisce i suoi commerci avviati ancora da suo padre a partire dal lontano 1937. In quell’anno è infatti stata aperta la salumeria, mentre nel 1969 è stato dato avvio alla “B. del f.”, nel 1971 al negozio di fiori, nel 1972 al negozio di frutta e nel 1973 alla “B. del v.”, questi ultimi, ad eccezione del negozio di frutta, siti nello stabile oggetto della presente vertenza. In occasione del sopralluogo è stato accertato che i predetti negozi costituiscono il cosiddetto “Mercato G.”, il quale occupa parzialmente un tratto di strada centrale e notoriamente di forte passaggio pedonale (cfr. verbale di sopralluogo del 13 dicembre 2004). Ciò che implica effettivamente che egli, nel corso di oltre 30 anni di locazione, si sia creato un’importante clientela legata per la maggiore alla zona di situazione stessa dei suoi commerci e sia diventato un importante punto di riferimento della gastronomia nel Luganese. Pertanto si deve necessariamente ritenere che uno spostamento dal centro cittadino, dove il “Mercato G.” è molto conosciuto e dove è possibile approfittare della numerosa clientela di passaggio, gli sarebbe pregiudizievole in quanto potrebbe comportare una notevole diminuzione della stessa e di conseguenza della cifra d’affari. Proprio a ragione di questo forte legame con il luogo di situazione devono inoltre essere considerate le evidenti difficoltà del conduttore nell’individuare una soluzione alternativa che possa sostituire adeguatamente i locali oggetto di disdetta nel medesimo quartiere.
Non da ultimo va evidenziato che nei tre negozi oggetto di disdetta sono impiegati 13 dipendenti, che tali commerci rendono 1/3 dell’intera cifra d’affari della ditta G. e che tale attività nel suo insieme costituisce comunque l’unica fonte di reddito del conduttore e della sua famiglia, vista l’intenzione dei suoi figli di subentrare nell’attività già avviata dal nonno.
Ciò posto è pacifico che le disdette in questione comportino effetti gravosi. Irrilevante per contro il fatto che l’inquilino conduce in locazione gli spazi in questione in virtù di contratti orali, non essendo peraltro contestata la lunga permanenza negli enti locati. La vicinanza del negozio di macelleria/salumeria conferma inoltre l’importanza del “Mercato G.” nel suo complesso. Per il resto, nulla in atti permette di affermare che l’inquilino vorrebbe approfittare di superfici commerciali ben ubicate a basso costo.
Ne discende che, avuto riguardo agli interessi di entrambe le parti, ben si giustifica di accordare una proroga del contratto della durata massima prevista dalla legge, segnatamente fino al 30 settembre 2009.
8.a) In punto, da ultimo, alla richiesta di aumento della pigione per il periodo di protrazione deve valere che giusta l’art. 272c cpv. 1 CO ciascuna delle parti può chiedere che nella decisione di protrazione, il contratto venga adeguato alla nuova situazione. In questi casi la parte che ne fa richiesta non è tenuta a rispettare alcun termine di preavviso e nemmeno deve notificare la propria pretesa su formulario ufficiale (Lachat, op. cit., pag. 513). La norma in questione configura un caso di applicazione della clausola rebus sic stantibus. Una modifica del contratto può infatti entrare in linea di conto unicamente se rappresenta un adeguamento ad una nuova situazione. Le circostanze che impongono un adeguamento del contratto inoltre devono essere di una certa rilevanza, poiché la decisione sulla protrazione non deve servire a concedere ad una parte più diritti di quanti gliene spettavano prima, vale a dire nell’ambito del normale rapporto di locazione, o di quanti gliene spettano durante la protrazione (Higi, op. cit., N. 33 e segg. ad art. 272c CO).
8.b) Nella specie i presupposti di cui alla cennata norma non sono adempiuti. In particolare la parte locatrice non ha dimostrato che l’aumento delle pigioni rappresenterebbe un adeguamento ad una nuova situazione. Nemmeno è stato comprovato che concretamente si sarebbero verificate circostanze rilevanti tali da imporre la modifica richiesta. La documentazione prodotta inoltre non è atta a giustificare e a sostanziare la domanda in oggetto. La parte locatrice, a sostegno della propria richiesta, si è infatti limitata a menzionare un unico ente locato laddove il Tribunale federale in una decisione di principio ha stabilito chiaramente che il locatore che invoca l’applicazione dell’art. 269a lett. a CO deve indicare almeno cinque oggetti di comparazione che presentino le medesime caratteristiche del bene locato in discussione quanto a luogo di situazione, dimensione, dotazione, stato dei locali e anno di costruzione. Giurisprudenza che peraltro è stata più volte ribadita dalla medesima Alta Corte (DTF 123 III 317, DTF 127 III 411, DTF 4C.323/2001, DTF 4C.275/2004 e DTF 4C.124/2006). A ciò aggiungasi che in concreto è stato accertato come l’intero immobile sia nel suo complesso vetusto. Diverso è invece il discorso per i negozi siti nelle vicinanze, ed in particolare la citata gioielleria. Si tratta infatti di negozi ristrutturati nel corso degli ultimi anni e che si possono effettivamente qualificare quali enti locati di lusso. Non da ultimo rilevasi che i locatori nemmeno hanno sostanziato che nella specie non sarebbe garantito un reddito sufficiente, al riguardo non essendo stato prodotto il benché minimo documento giustificativo. Per il resto anche l’asserito aumento di pigione imposto all’inquilina P. non ha trovato alcun riscontro probatorio, nulla emergendo in tal senso dal verbale 7 luglio 2003 del competente Ufficio di conciliazione.
Ne discende che la domanda di adeguamento delle pigioni deve essere respinta.