L'impossibilità di riscaldare in maniera differenziata un locale commerciale rispetto a locali d'abitazione contigui costituisce un difetto del bene locato soltanto se espressamente pattuito
Compete al conduttore l'onere di provare che il locatore abbia garantito la possibilità di riscaldare in maniera differenziata il locale commerciale rispetto all'appartamento contiguo, ritenuto che in caso positivo tale impossibilità costituisce un difetto del bene locato.
Un impianto di riscaldamento deve garantire una temperatura minima di 18° tanto nei vani abitativi quanto in quello commerciali: errori di manipolazione dell'impianto di riscaldamento compiuto dal conduttore non giustificano una riduzione di pigione quando lo stesso impianto sia tecnicamente efficiente.
Per una farmacia non sussiste la necessità di mantenere temperature particolarmente basse per conservare medicamenti che non devono essere riposti in frigoriferi o in congelatori, essendo la temperatura ambiente adeguata.
Seconda Camera civile del Tribunale d'appello in re M. / L. del
23 gennaio 2004
Estratto dai considerandi
In fatto:
A) In data 1° giugno 1988 la signora M. (conduttrice) ha concluso un contratto di
locazione con il dott. L. (locatore) avente per oggetto uno stabile denominato "Farmacia
C." a C., formato da un appartamento ad uso abitativo di 6 locali al primo
piano e al sottotetto, nonché di una farmacia arredata ed ammobiliata al piano terreno.
La pigione, inizialmente fissata in fr. 5'500.--, di cui fr. 3'500.-- per la farmacia
e fr. 2'000.-- per l'appartamento è stata aumentata negli anni fino a fr. 7'000.--
mensili (fr. 2'000.-- per l'appartamento e fr. 5'000.-- per la farmacia). La locazione
è terminata il 31 marzo 2000 (sentenza II CCA del
3 settembre 2001), mentre la conduttrice ha continuato ad occupare l'immobile sino
al 16 dicembre 2001 (doc. 3).
B) Con istanza 23 marzo 2000 la conduttrice si è rivolta all'Ufficio di conciliazione
chiedendo, fra altre cose, che il canone di locazione fosse ridotto di fr. 500.--
per l'appartamento e fr. 500.-- per la farmacia a decorrere dal
1° giugno 1988 a causa di un difetto dell'impianto di riscaldamento, nonché di un'ulteriore
diminuzione del canone di fr. 1'000.-- a far tempo dal 1° aprile 2000, giacché l'arredo
della farmacia doveva ritenersi ammortizzato, come pure avuto riguardo alla diminuzione
del tasso ipotecario e al reddito sproporzionato dell'ente locato. Stante la mancata
conciliazione, l'Ufficio di conciliazione in data 23 maggio 2000 ha assegnato all'istante
un termine di trenta giorni per adire il Pretore. La causa, con istanza 21 giugno
2000 è quindi stata proposta negli stessi termini davanti al Pretore, ove l'istante
ha però aggiunto, alle domande precedenti, quella relativa il risarcimento delle
spese di patrocinio che ha dovuto sopportare davanti all'Ufficio di conciliazione
per un importo complessivo di fr. 4'039.50 e la restituzione - solo in sede di conclusioni
- delle pigioni pagate in esubero oltre interessi al 5 % a decorrere dalla data
del loro versamento.
A queste domande si è opposto il convenuto, contestando che l'impianto di riscaldamento fosse difettoso. I disagi lamentati dall'istante erano dovuti esclusivamente ad un uso improprio dell'impianto e all'incapacità della conduttrice di regolare il bruciatore. In ordine alla riduzione del canone della farmacia dopo il 1° aprile 2000 essa ha rilevato che l'istante non ha osservato le formalità prescritte dall'art. 270a CO, non avendo preventivamente sottoposto la sua richiesta al locatore. Ha soggiunto che l'ammortamento del mobilio della farmacia non poteva dar luogo ad una riduzione del canone di locazione, come pure non vi era una sproporzione fra la pigione che viene corrisposta dalla conduttrice per la farmacia e quella che era versata usualmente da altre farmacie in regioni periferiche. Anche la minima riduzione del tasso d'interesse di riferimento dal 5 % al 4,5 % non poteva comportare una riduzione della pigione, la quale è stata compensata dal rincaro nel frattempo intervenuto.
C) Con sentenza 20 dicembre 2002 il Pretore ha respinto integralmente l'istanza,
precisando che l'impianto di riscaldamento non presenta difetti d'ordine tecnico
o costruttivo e che lo stesso poteva garantire il mantenimento di una temperatura
all'interno dell'appartamento e della farmacia fra i 20 e i 25 gradi centigradi,
senza alcun pregiudizio per i medicinali, che possono essere conservati ad una temperatura
variante fra i 15 e i 25 gradi centigradi. Diversamente da quanto ha sostenuto l'istante,
il locatore non ha garantito alla conduttrice la possibilità di regolare in maniera
differenziata la temperatura dei locati abitativi da quelli commerciali. I disagi
lamentati dall'istante erano riconducibili alla sua incapacità di regolare l'impianto
in maniera ottimale. Di conseguenza costei non poteva neppure far valere delle pretese
di risarcimento, non essendoci alcun difetto. Per il periodo successivo il
1° aprile 2000, la conduttrice non aveva alcun diritto a una riduzione del canone
di locazione, perché il contratto di locazione si era estinto il 31 marzo 2000 ed
essa non poteva quindi avvalersi per il futuro delle norme volte a proteggere gli
inquilini contro i canoni abusivi. Per contro l'istante era tenuta a corrispondere
al proprietario dell'immobile un indennizzo pari alla pigione precedente per tutta
la durata dell'occupazione abusiva dei locali.
D) Contro il premesso giudizio l'istante si è aggravata in appello, assumendo che la conduttrice in buona fede poteva pensare che il rapporto di locazione non si fosse estinto il 31 marzo 2000 ma, con l'accordo della controparte, si era protratto, con formalizzazione nel decreto di sfratto del 22 ottobre 2001, sino al 30 novembre 2001, se non già sino al 16 dicembre 2001, ovvero la data prevista dalle parti per la riconsegna dell'ente locato. Ricorda che al riguardo la II CCA aveva concesso l'effetto sospensivo al ricorso sul litigio relativo alla durata della locazione (determinata o indeterminata), che si è definito solo con la pronuncia di questa Camera il 3 settembre 2001. Col che il rapporto di locazione esisteva sino a questa data e il Pretore non poteva non determinarsi sulle richieste di riduzione del canone di locazione per il periodo successivo il 31 marzo 2001, quantomeno in via analogica. Rimprovera al Pretore di aver negato alla parte istante la "prova pratica sugli apporti calorici" che era stata espressamente richiesta in corso di causa. Il Pretore ha fondato il suo giudizio sulla premessa sbagliata che l'impianto fosse idoneo a garantire una temperatura sufficiente nei vani abitativi e in quelli commerciali e che i lamentati difetti erano stati determinati da un'errata regolazione dell'impianto da parte della conduttrice, mentre l'istruttoria ha dimostrato che sussistevano delle difficoltà oggettive legate alla regolazione del riscaldamento nei due ambienti, nonché non è stato possibile dimostrare, perché il Pretore ha negato l'offerta di prova, che l'apporto calorico dell'impianto di riscaldamento fosse sufficiente allorché lo stesso era in funzione. Nel corso della locazione tanto il locatore, quanto i tecnici sono intervenuti più volte per cercare di porre rimedio a questa situazione disagevole cambiando la sonda esterna, nonché posando delle stufette elettriche e un radiatore elettrico all'interno dell'edificio. In simili circostanze non si può negare una riduzione di fr. 1'000.-- del canone di locazione dal 1° giugno 1988 a causa del difetto dell'impianto di riscaldamento, nonché di fr. 1'000.-- della pigione della farmacia, a decorrere dal 1° aprile 2000, a causa dell'avvenuto ammortamento del mobilio, della riduzione del tasso ipotecario, e anche a dipendenza del reddito sproporzionato ed abusivo della farmacia, con contestuale restituzione delle pigioni pagate in eccesso. L'appellante ha rinnovato inoltre la sua richiesta di risarcimento del danno di fr. 4'039.-- per il patrocinio davanti l'Ufficio di conciliazione, nonché ha ribadito anche in sede di appello la sua richiesta di completare la perizia dell'ing. M. in relazione al funzionamento del riscaldamento. Da ultimo si è opposta al pagamento delle spese poste a suo carico in ordine alla perizia inconcludente del perito ing. M. in relazione all'indagine sul reddito sproporzionato della farmacia.
Con tempestive osservazioni il convenuto ha postulato la reiezione del gravame con argomenti che, all'occorrenza, verranno ripresi nei considerandi di diritto, protestando spese e ripetibili.
In diritto:
1. Con l'appello l'istante ha prodotto delle dichiarazioni e degli estratti conto della Banca R. di cui non si può tenere conto per il giudizio, perché, a norma dell'art. 321 cpv. 1 lett. b CPC, sussiste il divieto di addurre in appello nuovi fatti, nuove prove ed eccezioni.
2. Con l'appello l'istante lamenta che il Pretore non si è pronunciato sulla richiesta
di riduzione del canone di locazione a decorrere dal 1° aprile 2000, posto che i
tassi di interesse sono diminuiti, il mobilio della farmacia si sarebbe ammortizzato
completamente, come pure che l'ente locato procurerebbe al locatore un reddito sproporzionato.
Per l'istante il Pretore avrebbe dovuto applicare l'art. 270a CO, giacché la locazione
si sarebbe protratta per effetto della procedura in corso sino al
30 novembre 2001. Quantomeno il Pretore avrebbe dovuto applicare questo disposto
per analogia, se si considerasse che la locazione si è estinta il 31 marzo 2000.
2.1 Gli argomenti dell'appellante sono privi di pregio. Questa Camera ha già avuto
modo di precisare che il contratto di locazione fra le parti aveva durata determinata
ed esso si è estinto il 31 marzo 2000 (sentenza II CCA 3 settembre 2001 inc.
n. 12.2001.35). Il Pretore ne ha quindi dedotto che le somme che sono state corrisposte
al locatore dal
1° aprile 2000 al 30 novembre 2001 costituivano un indennizzo per il pregiudizio
causato al convenuto per l'indebita occupazione dell'ente locato e che, di conseguenza,
l'istante non poteva avvalersi delle disposizioni legali volte a proteggere gli
inquilini contro i canoni abusivi. Contrariamente a quanto sostiene l'appellante,
il Pretore si è pronunciato sulla sua richiesta con motivazioni approfondite e pertinenti,
che meritano conferma anche in appello. Dottrina e giurisprudenza hanno già avuto
modo di precisare che se alla scadenza del contratto il conduttore non restituisce
l'ente locato al locatore, ma continua ad usarlo contro la volontà del proprietario,
egli è tenuto a versare un'indennità a quest'ultimo, di principio pari alla pigione
che era stata convenuta in base alle norme che governano l'indebito arricchimento
(art. 62 segg. CO; DTF 119 II 441/442; DB 1990 N. 4 pag. 6) o gli
atti illeciti (art. 41 CO; DB 1992 N. 12 pag. 14/15; Lachat, Le bail
à loyer, Losanna 1997, pag. 57/58). Nel caso in esame l'appellante non può legittimamente
sostenere di essere rimasta nei locali appigionati con l'accordo del locatore. Neppure
si può pretendere che costui ne abbia tollerato l'uso. Infatti il proprietario dell'immobile,
prima di chiedere lo sfratto, ha dovuto attendere l'esito della vertenza pendente
presso la II CCA, tesa a determinare se la locazione aveva natura indeterminata
(come aveva stabilito l'Ufficio di conciliazione) o determinata (come ha deciso
il Pretore e confermato la II CCA). Posto che al ricorso della conduttrice era stato
accordato l'effetto sospensivo, il convenuto non poteva chiedere lo sfratto. Per
contro il locatore, nei giorni successivi la notifica della decisione della II CCA,
ha presentato un'istanza di sfratto (di data 24 settembre 2001), che è stata decisa
dal Pretore con obbligo di lasciare i locali entro il 16 dicembre successivo, sulla
base di un accordo perfezionato in Pretura il giorno dell'udienza di discussione.
In queste condizioni si deve ragionevolmente ammettere che non v'era alcun accordo
con il locatore per l'occupazione dei locali dopo la scadenza del contratto. L'occupazione
è quindi da ritenere illecita. Di conseguenza l'appellante, in assenza di un contratto
di locazione valido, non può avvalersi delle norme a protezione delle pigioni abusive
del locatore in materia di locazione (Tercier, Les contrats spéciaux, IIIa
ed. N. 1766 e N. 2413).
2.2 Non solo. A norma dell'art. 270a cpv. 1 CO, la riduzione del canone di locazione può essere chiesta per la prossima scadenza di disdetta. Ciò significa che, salvo patto contrario, non è dato alcun diritto al locatario di chiedere la riduzione della pigione in presenza di una locazione con termine fisso di scadenza (Lachat, op. cit. pag. 275 con rinvii), ed in specie nella presente evenienza, ove la riduzione della pigione è stata chiesta il 23 marzo 2000 (doc. F e istanza di identica data all'Ufficio di conciliazione), ossia qualche giorno prima del termine di scadenza del contratto. Su questo punto l'appello è quindi infondato.
3. Secondo l'art. 259d CO, se un difetto pregiudica o diminuisce l'idoneità della
cosa all'uso cui è destinata, il conduttore può pretendere una riduzione proporzionale
del corrispettivo a partire dal momento in cui il locatore ha avuto conoscenza del
difetto fino all'eliminazione del medesimo (II CCA 5 novembre 2003 in re
G. / I.V. SA;
7 dicembre 2001 in re S.; 26 gennaio 1995 in re O. / M.). Scopo della normativa
è di far si che il conduttore abbia a versare al locatore una pigione adeguata al
fatto che l'ente locato presenta un difetto che ne impedisce o comunque ne pregiudica
un uso ottimale: la riduzione del corrispettivo viene effettuata secondo i criteri
sviluppati dalla dottrina e dalla giurisprudenza in margine all'azione estimatoria
del contratto di compravendita (Svit, Schweizerisches Mietrecht, 2. ed.,
N. 17 ad art. 259d CO; Züst, Die Mängelrechte des Mieters von Wohn - und
Geschäftsräumen, Berna - Stoccarda - Vienna 1992, pag. 187 e segg.; IICCA
23 aprile 1996 in re T. lc. / S. SA,
23 agosto 1996 in re C. / G.): L'onere della prova circa l'esistenza di un difetto
e l'adempimento degli ulteriori presupposti per una riduzione del canone di locazione
incombe al conduttore (Higi, Zürcher Kommentar, N. 20 ad art. 259d CO; Svit,
op. cit., N. 26 ad art. 259d CO; IICCA 5 novembre 2003 in re G. / I.V. SA;
15 gennaio 1997 in re R. SA / D. AG, 25 aprile 1997 in re D. / P.,
7 dicembre 2001 in re S. / I. SA).
3.1 La materia del contendere verte sul tema a sapere se l'impianto di riscaldamento fosse difettoso già sin dall'inizio della locazione e se l'istante può pretendere la riduzione del canone di complessivi fr. 1'000.-- per i vani commerciali (fr. 500.--) e quelli abitativi (fr. 500.--). Davanti al Pretore l'istante lamentava che l'impianto di riscaldamento non permetteva una regolazione differenziata fra la farmacia e i locali abitativi. In particolare l'istante sosteneva che nella farmacia era costretta a mantenere una temperatura minima per non deteriorare i medicamenti, mentre nell'appartamento non era possibile conseguire una temperatura accettabile senza far capo a delle stufette elettriche. L'ente locato è difettoso se non è conforme allo stato convenuto o promesso in maniera sfavorevole al locatario (Higi, op. cit. N. 27 all'art. 258; Weber/Zihlmann, BS Kommentar, 2a ed., N. 1 all'art. 258; Svit Kommentar, op. cit. Vorbemerkungen N. 23 agli artt. 258-259i; Lachat, op. cit., pag. 143 N. 1.4). L'impossibilità di riscaldare in maniera differenziata la farmacia dall'appartamento, può essere considerata un difetto solo se il locatore ha garantito una simile possibilità. L'onere della prova compete al locatario. Orbene, il contratto agli atti non prevede una simile promessa e l'istante non lo pretende nemmeno. Parimenti dagli atti non emerge che il locatore abbia fatto una simile promessa alla locataria, mentre i medicamenti di una farmacia che non devono essere conservati in un congelatore (al di sotto di - 15°), in un refrigerante (da 2° a 8°) o al fresco (da 8° a 15°), possono essere preservati, secondo il farmacista cantonale e le prescrizioni della farmacopea, cui rinvia l'art. 40 del regolamento concernente l'esercizio delle arti sanitarie maggiori, a temperatura ambiente (da 15° a 25°) in armadi che non siano esposti alla luce diretta del sole (doc. 1). Per il che non sussiste per una farmacia la necessità di mantenere delle temperature particolarmente basse per conservare dei medicamenti che non devono essere riposti in frigorifero o in congelatori. La temperatura ambiente è ritenuta adeguata.
3.2 Se così stanno le cose, l'impianto di riscaldamento può essere ritenuto difettoso in base ad una prassi consolidata, solo nel caso in cui non sia possibile raggiungere una temperatura minima di 18° tanto nei vani abitativi (IICCA 26 gennaio 1995 in re O. / M.; DB 1996 N. 7 pag. 11), quanto in quelli commerciali (IICCA 7 dicembre 2001 in re S. / I. S. K. SA 1° giugno 1999 in re F. / D.). L'istruttoria non ha chiarito questo aspetto, perché al consulente tecnico non è stato posto alcun quesito. Per contro le domande dell'istante si sono incentrate sulla possibilità di regolare il riscaldamento in maniera differenziata nei vari locali sulla base delle esigenze della conduttrice (cfr. domanda peritale N. 1 pag. 10 della perizia). Come si è spiegato qui sopra quest'ultima possibilità di regolare il riscaldamento non era stata promessa all'istante. Il Pretore correttamente ha rilevato che l'impianto di riscaldamento non presenta anomalie di ordine tecnico o costruttivo. La centrale di produzione del calore è di ottima fattura e il quantitativo di serpentine posate per rapporto alle superfici da riscaldare è più che sufficiente per garantire un buon bilancio termico nell'edificio (allegato perizia pag. 2). Semplicemente l'impianto era mal regolato (perizia pag. 7, 9 e allegato pag. 4), perché la programmazione, così come è stata impostata, non poteva consentire un funzionamento normale dell'impianto (allegato perizia pag. 3). Le cause del cattivo funzionamento del riscaldamento sono però da ricondurre tanto all'incapacità della conduttrice di regolare l'impianto, quanto all'impossibilità del riscaldamento stesso di poter rispondere all'esigenza dell'istante (qualità non promessa contrattualmente) di poter riscaldare in maniera differenziata i vani della farmacia da quelli abitativi. Invero il Pretore, richiamando le emergenze istruttorie chiare e circostanziate, ha precisato che il teste Z. (verbale 24 gennaio 2001 pag. 10) ha potuto constatare che la conduttrice usava una programmazione inadeguata per quel tipo di riscaldamento. "Ad esempio accendeva il riscaldamento alle 07.00 del mattino, lo spegneva alle 08.30, cosicché i locali non facevano nemmeno in tempo a raggiungere una temperatura sufficiente; poi lo accendeva magari alle 11.00 fino alle 13.00, poi lo accendeva di nuovo magari alle 17.00". Parimenti l'uso improprio del riscaldamento durante il giorno risultava altresì dallo scarso consumo di combustibile nell'arco dell'anno: soli 2'500 litri secondo le dichiarazioni della conduttrice (perizia pag. 7). Il teste Z. ha altresì riferito, confermando gli accertamenti del perito, che adottando una regolamentazione normale i locali potevano essere regolarmente riscaldati e che "il regolaggio automatico funziona perfettamente". Avuto riguardo alle circostanze, l'eventuale deposito di fango nelle serpentine, che avrebbe potuto consentire una concausa del cattivo funzionamento dell'impianto di riscaldamento (allegato perizia pag. 4), non è causale rispetto ai difetti che sono stati lamentati dalla conduttrice. Infatti è la regolazione errata dell'impianto da parte della conduttrice che non ha permesso, se del caso, di raggiungere delle temperature accettabili nei vani appigionati. Indagini ulteriori per accertare se le serpentine fossero libere o otturate dai depositi di fango non avrebbe comunque condotto a risultati diversi, perché il tema principale di sapere se il riscaldamento, in condizioni normali di funzionamento avrebbe potuto consentire di raggiungere una temperatura minima di 18° in tutti i vani appigionati, non è stato affrontato dalle parti.
3.3 Ferme queste premesse, non occorre neppure soffermarsi sull'istanza della conduttrice, respinta dal Pretore con ordinanza 10 luglio 2001 e rinnovata in questa sede, tendente a verificare se l'impianto regolato correttamente poteva apprestare un sufficiente apporto calorico. Infatti la perizia ha accertato che l'impianto di riscaldamento era dotato di apparecchiature sufficienti per riscaldare i vani adeguatamente (cfr. allegato perizia pag. 2), mentre, come si è visto, la possibilità che vi fosse un deposito di fango nelle serpentine è una circostanza che non avrebbe potuto influire sull'esito della vertenza avuto riguardo al fatto che il cattivo funzionamento dell'impianto di riscaldamento era dovuto ad un'errata regolazione dell'impianto. Per completezza giova sottolineare che l'assunzione delle prove - anche in sede di complemento di perizia (art. 252 cpv. 2 CPC) - è ammissibile soltanto per accertare fatti rilevanti (art. 184 CPPC). Il Giudice può mettere termine all'assunzione delle prove, ove quelle già esperite gli abbiano consentito di formarsi una convinzione ed essa abbia acquistato in modo esente da arbitrio, in base ad una valutazione anticipata delle prove ancora proposte, la certezza che queste non potrebbero modificare la sua opinione (Cocchi/Trezzini, CPC-TI, Lugano 2000, m. a1 da 1 a 5). Orbene, la verifica del funzionamento del riscaldamento in condizioni normali non avrebbe permesso di concludere che nei vani appigionati si sarebbe potuto raggiungere una temperatura minima di almeno 18°, perché questa domanda fondamentale non è stata sottoposta al consulente tecnico. Del pari qualunque fosse stata la risposta del perito alla domanda posta dall'istante, restava comunque il fatto che l'impianto non poteva funzionare, stante che esso era stato regolato in maniera tale da non poter sprigionare la sua potenza calorica. L'origine di questa disfunzione era quindi riconducibile alla sola istante.
4. In assenza di un difetto della cosa locata, anche la richiesta volta al risarcimento delle spese di patrocinio davanti all'Ufficio di conciliazione di complessivi fr. 4'039.50 deve essere respinta per motivi addotti dal Pretore.
5. Da ultimo l'appellante chiede di essere esonerata dall'obbligo di pagare le spese di causa relative alle prestazioni del perito ing. M. poiché questi non ha saputo rispondere adeguatamente a determinati quesiti tanto è vero che il Pretore, su istanza della stessa attrice, ha dovuto incaricare un nuovo perito.
La possibilità di rimettere in discussione, con l'appello di merito, l'entità delle spese giudiziarie, tra le quali anche quelle di perizia (art. 2 lett. b LTG), non è pacifica. Nessuna norma positiva la contempla mentre, invece, l'art. 33 LTG dichiara che la tassazione dell'indennità a favore del perito, fatta dal Pretore, è inappellabile e l'art. 5 cpv. 1 LTG prevede che "la parte cui le spese giudiziarie sono state imposte può interporre reclamo, entro quindici giorni dal pagamento o dalla intimazione della bolletta, contro l'ammontare delle medesime al Dipartimento di giustizia la cui decisione è definitiva". L'inappellabilità della tassazione della nota del perito si riferisce però solo, con evidenza, alla posizione del perito il quale, se non consente con l'operato del Giudice, ha la possibilità di azionare la sua maggior pretesa (Cocchi, Appunti sul tema della perizia giudiziaria nel processo civile, in Rep. 1994, pag. 172) mentre le parti possono contestare l'ammontare delle spese, e quindi anche quella della perizia, attraverso il reclamo dell'art. 5 cpv. 1 LTG. La via del reclamo potrebbe però non essere conforme all'art. 98a OG, non potendo un'autorità amministrativa (il Dipartimento) sindacare una pronuncia di quella giudiziaria sempre che la determinazione delle spese giudiziarie, non la loro ripartizione, debba essere considerata una decisione. Se così non è, allora la via del reclamo sarebbe senz'altro ammissibile e la conformità all'art. 98a OG sanata con la facoltà di interporre ricorso, ad un'autorità giudiziaria cantonale, contro la decisione su reclamo, escluso il dichiarato, per legge, suo effetto definitivo.
Ma la questione può rimanere irrisolta poiché, fosse anche data la possibilità di ricorrere, con l'appello sul merito, nei confronti dell'entità delle spese giudiziarie, le relative censure dell'appellante dovrebbero essere disattese.
Infatti, in casi di questo genere, la seconda istanza deve intervenire con riserbo poiché in definitiva solo il Giudice che ha condotto il processo conosce tutte le circostanze che permettono di valutare l'entità delle spese ed un'intromissione di correzione successiva si giustificherebbe solo quando l'importo delle spese appaia chiaramente fuori luogo ed arbitrario (Hauser/Schweri, Kommentar zum zürcherischen Gerichtverfassungsgesetz, ad § 206 N. 24).
In concreto l'appellante si limita a chiedere l'esclusione dal pagamento di quella parte dell'indennità del perito ing. M. che si riferisce all'attività svolta (che peraltro indica) in maniera non conforme, ma lo fa in modo assolutamente generico senza precise ed individuali censure di eccesso o di abuso di valutazione e senza l'indicazione precisa dell'importo che non vuole riconoscere, esigenza questa da sempre voluta dalla giurisprudenza (Cocchi/Trezzini, CPC-TI, ad art. 309 m. 10). L'appello, su tale punto, si rivela irricevibile.